Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/75

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onore. Intorno alla quale opera pessimamente fatta non è la presente mia intenzione di volere insistere con debite riprensioni, ma piú tosto in quella parte, che le mie piccole forze possono, quella emendare; percioché, quantunque picciol sia, pur di quella [cittá] son cittadino, e agli onor d’essa mi conosco in solido obbligato.

Quello adunque che la nostra cittá dovria verso il suo valoroso cittadino magnificamente operare, accioché in tutto non sia detto noi esorbitare dagli antichi, intendo di fare io, non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi dell’una appo noi spenta l’usanza, né all’altra basterieno le mie facultadi, ma con povere lettere a tanta impresa, volendo piú tosto di presunzione che d’ingratitudine potere esser ripreso. Scriverò adunque in istilo assai umile e leggiero, peroché piú sublime noi mi presta lo ’ngegno, e nel nostro fiorentino idioma, accioché da quello che Dante medesimo usò nella maggior parte delle sue opere non discordi, quelle cose, le quali esso di sé onestamente tacette, cioè la nobiltá della sua origine, la vita, gli studi e i costumi; raccogliendo appresso in uno l’opere da lui fatte, nelle quali esso sé chiaro ha renduto a’ futuri. Il che accioché compiutamente si possa fare, umilmente priego Colui, il quale di speziai grazia lui trasse, come leggiamo, per si alta scala a contemplarsi, che me al presente aiuti, e, in onore e gloria del suo santissimo nome, e la debole mano guidi, e regga lo ’ngegno mio.

II

PATRIA E MAGGIORI DI DANTE

Fiorenza, intra l’altre cittá italiane piú nobile, secondo la generale opinione de’presenti, ebbe inizio da’ romani; e in processo di tempo aumentata di popoli e di chiari uomini e giá potente parendo, o contrario cielo, o i lor meriti, che in sé l’ira di Dio provocassero, non dopo molti secoli da Attila,