Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/181

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[Muovono alcuni in questa parte un dubbio, e dicon cosí, che, conciosiacosaché singular grazia di Dio sia il prevedere le cose future, e i dannati del tutto la divina grazia aver perduta, non pare che convenientemente qui l’autore induca l’anima di Ciacco dannata a dover predire le cose, le quali scrive gli predisse. Alla soluzione del qual dubbio par che si possa cosi rispondere: esser vero alcuna cosa non potersi fare che buona sia, senza la grazia di Dio, la qual veramente i dannati hanno perduta; ma nondimeno concede Domeneddio ad alcune delle sue creature nella loro creazione certe grazie, le quali esso non toglie loro, quantunque queste creature, create da lui buone, poi diventino perverse. Percioché noi possiam manifestamente conoscere che, quantunque gli angeli, li quali per la loro superbia furon cacciati di paradiso, quantunque da lui della beatitudine privati fossero, non furon però privati della scienza, la quale nella loro creazione avea loro conceduta; o vero che questa non fu lor lasciata in alcuno lor bene, anzi in pena e in supplicio, percioché quanto piú sanno, tanto piú conoscono la gloria la quale per loro difetto perduta hanno, e per conseguente maggiore supplicio sentono. E cosí similemente crea Nostro Signore l’anime nostre perfette e simigliami a sé; e, quantunque esse per le loro malvage operazioni perdano il poter salire a’ beni di vita eterna, non perdono perciò quelle dote che nella lor creazione furono lor concedute da Dio, quantunque in danno di loro siano lor lasciate da Dio. E le dote, le quali noi riceviamo da Dio, sono molte, percioché esso ne dona la ragione, la volontá, il libero arbitrio, e danne la memoria, l’eternitá e lo ’ntelletto, e in queste cose ne fa simili a sé: le quali cose, quantunque nella sua ira moiamo, in’parte ne rimangono; tra le quali è quella parte della sua divinitá, la quale conceduta n’ha. E se questa rimane a’ dannati, meritamente delle cose future si possono addomandare, ed essi ne posson rispondere: per che non pare che l’autore inconvenientemente abbia del futuro addomandata l’anima dannata. Ma che le predette dote ne sien concedute, pare che si provi per la divina Scrittura, nella quale si legge quasi nel principio del Genesi: «Dixit Deus: — Facicnnus