Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/193

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piu lungo spazio prender possano ad empiere il tristo sacco, hanno introdotto che ne’ triclini, nelle sale, alle mense sieno intromessi i cantatori, i sonatori, i trastullatoli e i buffoni, e, oltre a ciò, mille maniere di confabulazioni ne’ lor conviti, accioché la sete non cessi. Se i familiari ragionamenti venisser meno, si ragiona, come Iddio vuole, in che guisa il cielo si gira, delle macchie del corpo della luna, della varietá degli elementi; e da questi subitamente si trasvá alle spezie de’ beveraggi che usano gl’indiani, alle qualitá de’ vini che nascono nel Mar maggiore, al sapore degli spagnuoli, al colore de’ galli, alla soavitá de’ eretici: né passa intera alcuna novelletta di queste, che rinfrescare i vini e’ vasi non si comandi. Ed è tanto questa maladizione di secolo in secolo, d’etá in etá perseverata e discesa, che infino a’ nostri tempi, con molte maggior forze che ne’ passati, è pervenuta; e, secondo il mio giudicio, dove che abbia ella molto potuto, o molto possa, alcuno luogo non credo che sia, dove ella con piú fervore eserciti, stimoli e vinca gli appetiti, che ella fa appo i toscani; e forse non men che altrove appo i nostri cittadini nel tempo presente. Con dolore il dico: e, se l’autore non avesse solamente Ciacco, nostro cittadino, essere dannato per questo vituperevol vizio, nominato, forse senza alcuna cosa dire del nostro esecrabile costume mi passerei. Questo, adunque, mi trae a dimostrare la nostra dannosa colpa, accioché coloro, li quali credono che dentro a’ luoghi riposti delle lor case non passino gli occhi della divina vendetta, con meco insieme, e con gli altri, s’avveggano e arrossino della disonestá la quale usano. Intorno a questo peccato, non quanto si converrebbe, ma pure alcuna cosa ne dirò. È adunque in tanto moltiplicato e cresciuto appo noi, per quel che a me paia, l’eccesso della gola, che quasi alcuno atto non ci si fa, né nelle cose publiche né nelle private, che a mangiare o a bere non riesca. [In questo i denari publici sono dagli uficiali publici trangugiati, l’estorsioni dell’arti e ne’ sindacati, il mobile de’ debitori dovuto alle vedove e a’ pupilli, le limosine lasciate a’ poveri e alle fraternite, l’esecuzioni testamentarie, le quistioni arbitrarie, e a qualunque altra pietosa