Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/198

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ventiquattresima epistola: «Ipsae voluptates in tormentimi vertuntur; epulae cruditaiem afferunt; ebrietates, nervorum torporem, tremoremque; libidines, pednm et marnami, et articulorum omnium depravationes» ecc. Questi adunque tutti ingluviatori, ingurgitatori, ingoiatori, agognatori, arrappatori, biasciatori, abbaiatori, cinguettatori, gridatori, ruttatori, scostumati, unti, brutti, lordi, porcinosi, rantolosi, bavosi, stomacosi, fastidiosi e noiosi a vedere e a udire, uomini, anzi bestie, pieni di vane speranze sono; vóti di pensieri laudevoli e strabocchevoli ne’ pericoli, gran vantatori, maldicenti e bugiardi, consumatori delle sustanzie temporali, inchinevoli ad ogni dissoluta libidine e trastullo de’ sobri. E, percioché ad alcuna cosa virtuosa non vacano, ma se medesimi guastano, non solamente a’ sensati uomini, ma ancora a Dio sono tanto odiosi, che, morendo come vivuti sono, ad eterna dannazione son giustamente dannati; e, secondo che l’autor ne dimostra, nel terzo cerchio dello ’nferno della loro scellerata vita sono sotto debito supplicio puniti. Il quale, accioché possiamo discernere piú chiaro come sia con la colpa conforme, n’è di necessitá di dimostrare brievemente.

Dice adunque l’autore che essi giacciono sopra il suolo della terra marcio, putrido, fetido e fastidioso, non altrimenti che ’l porco giaccia nel loto, e quivi per divina arte piove loro sempre addosso «grandine grossa e acqua tinta e neve», la quale, essendo loro cagione di gravissima doglia, gli fa urlare non altrimenti che facciano i cani: e, oltre a ciò, se alcuno da giacer si l-ieva o parla, giace poi senza parlare o urlare infino al di del giudicio; e, oltre a ciò, sta loro in perpetuo sopra capo un demonio chiamato Cerbero, il quale ha tre teste e altrettante gole, né mai rista d’abbaiare. E ha questo dimonio gli occhi rossi e la barba nera ed unta, e il ventre largo, e le mani unghiate, e, oltre all’abbaiare, graffia e squarcia e morde i miseri dannati, li quali, udendo il suo continuo abbaiare, disiderano d’essere sordi. La qual pena spiacevole e gravosa, in cotal guisa pare che la divina giustizia abbia conformata alla colpa: e primieramente come essi, oziosi e gravi del cibo e del vino, col ventre pieno giacquero in riposo del cibo ingluviosamente preso; cosí pare