Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/216

Da Wikisource.

«Or puoi, figliuol, veder». In questa parte continovando Virgilio le parole sue, gli mostra quanto sia vana la fatica di coloro, li quali tutti si danno a congregare o adunare di questi beni temporali, e apregli la cagione. E dice adunque: «Or puoi, figliuol, veder», in costoro, «la corta buffa», cioè la breve vanitá, «De’ ben», cioè delle ricchezze e degli stati, «che son commessi alla fortuna», secondo il volgar parlare delle genti, e ancora secondo l’opinion di molti; «Per clic», cioè per i quali beni, «l’umana gente si rabbuffa». Il significato di questo vocabolo «rabbuffa» par ch’importi sempre alcuna cosa intervenuta per riotta o per quistione, si come è Tessersi l’uno uomo accapigliato con l’altro, per la qual capiglia, i capelli son rabbuffati, cioè disordinati, e ancora i vestimenti talvolta: e però ne vuole l’autore in queste parole dimostrare le quistioni, i piati, le guerre e molte altre male venture, le quali tutto il di gli uomini hanno insieme per li crediti, per l’ereditá, per le occupazioni e per li mal regolati disidèri, venendo quinci a dimostrare quanto sieno le fatiche vane, che intorno all’acquisto delle ricchezze si mettono. E dice: «Ché tutto l’oro, ch’è sotto la luna», cioè nel mondo, «O che fu giá, di queste anime stanche», in queste fatiche del circuire, che di sopra è dimostrato, «Non poterebbe farne posar una», — non che trarla di questa perdizione. Appare adunque in questo quanto sia utile e laudabile la fatica di questi cotali, che in ragunar tesoro hanno posta tutta la loro sollecitudine, quando, per tutto quello che per la loro sollecitudine s’è acquistato, non se ne puote avere, non che salute, ma solamente un poco di riposo in tanto affanno, in quanto posti sono. Le quali parole udite da Virgilio muovono l’autore a fargli una domanda, dicendo: — «Maestro — dissi lui, — or mi di’ anche».

ILez. xxvii] Qui comincia la terza parte della prima principale di questo canto, nella quale l’autore scrive come Virgilio gli dimostrasse che cosa sia fortuna, e però dice: — «Maestro, or mi di’ anche»; quasi dica: tu m’hai detto che tutto l’oro del mondo non potrebbe fare riposare una di queste anime, e per questo m’hai mostrato quanto sia vana la fatica di coloro li quali, posta la