Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/73

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e col corpo tutti faticano intorno a cose, che né onor né fama lor posson recare, né con loro, oltre a ciò, far lunga dimora. — Costui, percioché estimò il vedere esser nimico delle meditazioni, e grandissimo impedimento degli studi per poter liberamente a questi vacare, si fece cavar gli occhi della testa. Altri dicono lui aver ciò fatto, perché il vedere le femmine gli era troppo grande stimolo e incitamento inespugnabile al vizio della carne. E, domandato alcuna volta che utilitá si vedesse d’averlo fatto, nulla altro rispose, se non che, per quello, era d’uno piú che l’usato accompagnato, e questo era un fanciul che’l guidava: benché Tullio, nel quinto delle Quistíoni tusculatte, dice questa essere stata risposta d’Asclepiade, il quale fu assai chiaro filosofo e similmente cieco. Fu nondimeno uomo di grande studio e di sottile ingegno, quantunque de’ principi delle cose tenesse un’opinione strana e varia da tutte quelle degli altri filosofi. Esso estimava tutte le cose procedere dall’uno de’ due principi, o da odio o da amore: e poneva una materia mista essere, nella quale i semi di tutte le cose fossero, e quella diceva chiamarsi «caos», il che tanto suona quanto «confusione»; e di questa affermava che a caso, non secondo la diliberazione d’alcuna cosa, ogni animale, ogni pianta, ogni cosa che noi veggiamo, nascere. E questo chiamava «odio», in quanto le cose che nascevano, dal lor principio, si come da nimico, si separavano; poi, dopo certo spazio di tempo corrompendosi, tutte si ritornavano in questa materia chiamata «caos», e questo appellava «tempo d’amore e d’amistá». E cosí teneva questi esser due principi formali, essendo questo caos principio materiale. Fu, oltre a questo, costui grandissimo magico, e dopo Zoroaste, re de’ batriani, trovatore di questa iniqua arte, molto l’aumentò e insegnò. Dice adunque per le predette opinioni l’autor di lui «che ’l mondo a caso pone» esser creato e fatto, e senza alcuna movente cagione: elei quale Tullio nel quinto libro delle Quistioni lusculane dice: «Democrílus, luminibus amíssis, alba scilicel discernere et atra?ion poterat: at vero bona, mala, aequa, iniqua, honesta, turpia, ut ili a, inuiilia, magna, parva poterat; et sine varietale colorum licebat vivere beate, sine noiione rerum