Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/28

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lor favola, affermando in quel luogo essere giá stata una gran battaglia tra Guiglielmo d’Oringa e sua gente d’una parte, o vero d’altro prencipe cristiano, e barbari infedeli venuti d’Affrica; ed essere stati uccisi molti cristiani in essa; e che poi la notte seguente, per divino miracolo, essere state quivi quelle arche recate per sepoltura de’ cristiani, e cosi la mattina vegnente tutti i cristiani morti essere stati seppelliti in esse. La qual cosa, quantunque possa essere stata, cioè che l’arche quivi per li morti cristiani recate fossero, io noi credo. Credo bene essere a Dio possibile ciò che gli piace, e che forse quivi fosse una battaglia, e che i cristiani morti fossero seppelliti in quelle arche: ma io credo che quelle arche fossero molto tempo davanti fatte da’ paesani per loro sepolture, come in assai parti del mondo se ne truovano; e quello che di questo credo, quel medesimo credo di quelle che si dice sono a Pola.

Dice adunque l’autore, continuandosi al primo detto, che come ad Arli e a Pola la moltitudine delle sepolture fanno il luogo varo, «Cosi facevan quivi d’ogni parte», cioè a destra e a sinistra, «Salvo», cioè eccetto, «che ’l modo v’era piú amaro», qui, che ad Arli o a Pola.

E poi discrive come piú amaro v’era il modo, dicendo: «Che tra gli avelli», cioè tra le sepolture le quali quivi erano, chiamate in fiorentin volgare «avelli»; e credo vegna questo vocabolo da «evello evellis», percioché la terra s’evelle del luogo dove l’uom vuole seppellire alcun corpo morto; «fiamme erano sparte, Per le quali eran si del tutto accesi», quegli avelli, «Che ferro piú», acceso, cioè rovente, «non chiede verun’arte», la quale di ferro lavori, il quale lavorare non si può né riducere in quella forma la quale altri vuole, se egli non è molto rovente. «Tutti li lor coperchi», di quelle arche, «eran sospesi», cioè levati in alto, «E fuor n’uscivan si duri lamenti», per lo grieve martiro fatti da’ miseri che dentro vi giaceano, «Che ben parean di miseri e d’offesi».

E però l’autore si mosse a domandar Virgilio, dicendo: «Ed io: — Maestro, quai son quelle genti, Che seppellite dentro da