Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/285

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inseriscono senza alcun legame, tolti i quali il filo del ragionamento ripiglia; errori di traduzione letteralmente meccanica attraverso le cattive e spesso farraginose riduzioni dal De genealogiis, De casibus virorum illustrium, De Claris mulieribus, De montibus, silvis, fontibus\ altri volgari errori di traduzione e fraintendimento di testi quali VEpistola a Cari Grande, articoli dell’ Elementarium di Papia, ecc.; guasti dell’armonia della forma e alterazioni, scomposizione e disorganizzazione del pensiero nelle pagine desunte dallo scritto biografico su Dante ( 1 ). Nel caso delle interferenze con altri commentatori (che son poi il Buti, Filippo Villani e l’Anonimo fiorentino), un’analisi stilistica non superlativamente difficile, né, io credo, leggermente opinabile, porta a constatare che vi mancano i modi e le forme del Boccaccio e vi si ritrovano invece i modi e le forme di quegli altri scrittori, piú o meno alterate, piú o meno peggiorate. Esempio tipico è quello del bravo e onesto Da Buti, che nella pagina che cita dal Boccaccio sul nome di Commedia (la qual pagina nel testo del proemio del Boccaccio, quale ora è, non s’innesta grammaticalmente, ma emerge per forma, per dottrina e per organismo di pensiero), rimane, come doveva rimanere, inferiore al modello, mentre ragiona meglio e in piú bei periodi nelle altre pagine che confrontano e che non sono citate come desunte dal Boccaccio < 2 ). Filippo Villani trasse (1) È giusto ch’io rammenti che, pur non avendo affacciato neanche io alcun sospetto sulla genuinitá del Contento in ciascuna sua parte, ebbi però giá, dal solo esame stilistico, a rilevare che piú e piú tratti di quest’opera, e in sé e al confronto delle pagine o proprie o altrui, dalle quali il B. li avrebbe derivati, appariscono indegni del grande scrittore. Cfr. pp. 7, 9, 25-6 con la n. 2, del mio scritto Caratteri e forma del Comento di G B. sopra ta Commedia di D. (Barga, 1913). Allora era il disagio dello studioso in cerca dei veri dati del suo problema: la prima stesura, la fretta, «la vecchiaia, che, se pur lascia valido il tronco, ne sfronda il verde» {ib., p. io), erano un’impostazione provvisoria. I veri dati e la risoluzione si son presentati dopo a mano a mano, attraverso l’esame dei codici e la susseguente ripresa in esame del testo. Allo scritto cit., p. 4, n. 2, rimando per la bibliografia sul Contento: aggiungasi O. Baco, Il B. lettore di Dante, Firenze, Sansoni, 1913. (2) Il fatto che il Buti avesse saccheggiato il proemio del Boccaccio, trasportandone nel suo tanta parte, non poteva non essere rilevato con meraviglia. Silvestro Centofanti, nella introduzione alla diligente edizione di Crescentino Giannini, s’ingegnò di scagionare il buon frate, ricorrendo per extrema ratio all ’«uso dei tempi». Ma la veritá è che l’uso dei tempi, per certo piú accondiscendente dell’uso nostro, non basta a spiegare un plagio che sviluppa tutto un sistema di idee, e che non ha riscontro nel séguito dell’opera, ove e il Boccaccio e Guido da Pisa e altri, quando accade che sian fonte dell’idea, non porgono insieme con essa l’espressione, e inoltre vengon citati, proprio come è citato il Boccaccio per il nome di Commedia, ch’è