Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/63

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«Ma quell’altro magnanimo». Qui comincia la quinta particella della terza del presente canto, nella quale, poi che l’autore ha mostrato come quello spirito, il quale s’era in ginocchie levato, era nella sepoltura ricaduto, ne dice come messer Farinata, continuando le sue parole, gli annunzia alcuna cosa di sua vita futura. Dice adunque: «Ma quell’altro magnanimo», cioè messer Farinata, «a cui posta», cioè a cui richiesta, «Restato m’era», in quel luogo, «non mutò aspetto», per cosa che detta fosse, «Né mosse collo», volgendosi in giú alle parole di messer Cavalcante, «né piegò sua costa», cioè suo lato. — «E se, — continuando al primo detto», cioè a quello che di sopra avea detto, d’avere due volte cacciati i passati dell’autore; — «Egli han quell’arte», —del tornare donde cacciati sono, «disse, — male appresa», in quanto non tornano in Firenze, «Ciò mi tormenta piú che questo letto», cioè che questo sepolcro acceso, nel quale io giaccio. «Ma non cinquanta volte fia raccesa La faccia della donna che qui regge».

A dichiarazion di queste parole è da sapere, come altra volta è stato detto, Proserpina esser moglie di Plutone e reina d’inferno; e questa Proserpina talvolta è da intendere per una cosa, e tal per un’altra. E tra l’altre cose, per le quali i poeti la prendono, alcuna volta è per la luna, la quale però si dice reggere in inferno, percioché la sua potenza è grandissima appo questi corpi inferiori, i quali, per rispetto delle cose superiori, si posson dire essere in inferno; e però, intendendosi per la luna, è da sapere la luna di sua natura non avere alcuna luce, si come noi possiamo vedere negli ecclissi lunari, ne’ quali ella non è veduta dal sole: per la interposizione del corpo della terra tra ’l sole e lei, rimane un corpo rosso senza alcuna luce. E cosi, facendo il suo corso, quanto piú dal sol si dilunga, piú veggiamo del corpo suo lucido, insino a tanto che perviene alla quintadecima, e quivi allora veggiamo tutto il corpo suo luminoso e bello; e cosi si mostra a noi essere «raccesa», cioè ralluminata la faccia sua: poi dal luogo, dove tutta la veggiamo,