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76 Giovanni Boccacci

     Anchora spererei trovar difese5
     Alla mia vita, che m’è in odio tanto,
     E’ sospir grevi rivolger in canto
     Et poter perdonar le facte offese.
Ma perché, come Phebo fuggì Dane1,
     Così costei d’ogni parte mi fugge,10
     Et niega agli occhi miei il suo bel lume,
     Troppo invescata in l’amorose pane
     La mia vita cognosco che si strugge,
     E ’l cor diventa di lagrime fiume.


XXXVI.


Scrivon alcun2, Parthenope, syrena
     Ornata di bellezze et piena d’arte,
     Aver sua stanza electa in questa parte3
     Tra il coll’herboso et la marina rena,
     Et qui lasciat’anchor d’età non piena5
     Le membra sua, che or son cener sparte,
     E il nome suo in più felice carte
     E in questa terra fertile et amena4.


  1. Per la menzione di Febo e Dafne cfr. XXXIII, 11.
  2. Per esempio, tra gli scrittori che il Boccacci conobbe, Plinio (Hist. nat., III, 9) e Solino (De mir. mundi, 2), i quali però dicono assai poco di Partenope. Il solo Plinio è citato, intorno alla sepoltura di questa sirena, nella Genealogia deorum del nostro poeta (VII, 20). Nel racconto, derivato da tradizioni orali, che la Fiammetta fa nell’Ameto sull’origine di Napoli, Partenope è raffigurata non come sirena, ma come ‘vergine sicula’.
  3. Dove oggi è Napoli.
  4. Partenope lasciò il suo nome alle più felici carte, ossia agli scritti degli antichi (cfr. qui sopra la n. 2) e alla città che più tardi fu detta Napoli.