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350 giornata quinta

di Rodi afferrato, che, surgendo l’aurora ed alquanto rendendo il cielo piú chiaro, si videro forse per una tratta d’arco vicini alla nave il giorno davanti da lor lasciata; della qual cosa Cimone senza modo dolente, temendo non gli avvenisse quello che gli avvenne, comandò che ogni forza si mettesse ad uscir quindi, e poi dove alla fortuna piacesse, gli trasportasse, per ciò che in alcuna parte peggio che quivi esser non poteano. Le forze si misero grandi a dovere di quindi uscire, ma invano: il vento potentissimo poggiava in contrario, intanto che, non che essi del piccol seno uscir potessero, ma, o volessero o no, gli sospinse alla terra. Alla quale come pervennero, dalli marinari rodiani della lor nave discesi furono riconosciuti; de’ quali prestamente alcun corse ad una villa ivi vicina dove i nobili giovani rodiani n’erano andati, e loro narrò, quivi Cimone con Efigenia sopra la lor nave per fortuna, sí come loro, essere arrivati. Costoro, udendo questo lietissimi, presi molti degli uomini della villa, prestamente furono al mare: e Cimone che, giá co’ suoi disceso, aveva preso consiglio di fuggire in alcuna selva vicina, insieme tutti con Efigenia furon presi ed alla villa menati, e di quindi, venuto dalla cittá Lisimaco, appo il quale quello anno era il sommo maestrato de’ rodiani, con grandissima compagnia d’uomini d’arme, Cimone ed i suoi compagni tutti ne menò in prigione, sí come Pasimunda, al quale le novelle eran venute, aveva col senato di Rodi, dolendosi, ordinato. In cosí fatta guisa il misero ed innamorato Cimone perdé la sua Efigenia poco davanti da lui guadagnata, senza altro averle tolto che alcun bascio. Efigenia da molte nobili donne di Rodi fu ricevuta e riconfortata sí del dolore avuto della sua presura e sí della fatica sostenuta del turbato mare, ed appo quelle stette infino al giorno diterminato alle sue nozze. A Cimone ed a’ suoi compagni, per la libertá il dí davanti data a’ giovani rodiani, fu donata la vita, la qual Pasimunda a suo poter sollecitava di far lor tôrre, ed a prigion perpetua fûr dannati; nella quale, come si può credere, dolorosi stavano e senza speranza mai d’alcun piacere. Pasimunda quanto poteva l’apprestamento sollecitava delle future nozze: ma la fortuna, quasi pentuta