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Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/361

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nota 355



I 12319 «che altressi»: il che essi rimasto nella vulg. diede l’aire alle piú strane spiegazioni1;

I 12630 «seco propose»: cfr. poche righe piú sotto «sé avere seco proposto» (e seco è in G);

I 12822 «dove Pericon con la donna dormiva n’andarono»: qui il Fanfani supplisce invece se n’andò, adducendo l’autoritá di alcuni mss. 2; ma la proposta non persuade, sia perché «se n’andò» è giá stato usato quattro righe prima, sia perché i due plurali seguenti «uccisono... presero» richiedono che di quel numero fosse anche la forma verbale coordinata che deve precedere;

I 13126 «fatte cadere», giá suppl. da L;

I 13626 «grandissima parte delle cose»: giá L supplí de’ beni, ed il Fanfani, sempre adducendo i mss.3, pose delle piú care cose, che trova un riscontro in I 12825 «delle piú preziose cose»;

I 14024 «che degli uomini.... si fosse»: il costrutto quasi identico che ricorre sei righe piú sotto mi ha suggerito l’integrazione, in luogo di avvenisse supplito da L e passato alla vulg.;

I 14330 «sopra i nemici ordinarono»: quanto al supplemento (L ha raunò, impossibile) seguo il Fanfani4, che però lo colloca prima delle parole «un grandissimo esercito», con minor sonoritá;

I 1458 «la quale fosse ricca» (L supplí sia, ma qui è necessario l’impf. del congiuntivo);

I 14630 «piú tosto potè»: cfr. la stessa dizione tre righe innanzi;

I 17117 «fatto migliore estimatore delle sue forze»: G supplí invece divenuto dopo «d. s. forze», ma resta a vedere se di fantasia o su l’autoritá di mss.;

I 1747 «quanto è a me»: per racconciare questo luogo, «disputatissimo» a torto5, bastava tener presente I 27217 «quanto è a me» (ed anche I 32011 «quanto è al nostro giudicio»), e supplire di conseguenza;

I 1789 «voglio»: senza questa parola il passo (come figura nella vulg.) è insostenibile; bisogna riflettere che l’asse centrale del periodo passa per la subordinata «che sopra un de’ molti fatti della fortuna si dica»6, alla quale mancherebbe il sostegno: di qui il riconoscimento
  1. Si veda la lepida nota del Fanf., il quale giustamente riconobbe ancora che «basta ripetere a suo luogo il s’avvidero a rendere semplice e chiaro il costrutto» (I, p. 140, n. 2): ma quell’essi non è davvero possibile accettarlo.
  2. I, p. 146, n. 4; la proposta sembra accolta dallo Hecker, Die Berl. Dec.-Hs., p. 62.
  3. I, p. 155. n. 3
  4. I, p. 164, n. 3.
  5. Cosí il Fanf., che per suo conto lesse quanto è io, non mi ricordo, come se quel mostruoso quanto è io fosse proprio conforme all’uso del Sacchetti, il quale disse invece quanto io (I, p. 200, n. 3).
  6. Va soppressa la copula che B premette al «che».