con grandissima festa riceverlo volesse, gli si faceva incontro; al quale Anichin disse: — Ahi! malvagia femina, adunque ci se’ venuta, ed hai creduto che io volessi o voglia al mio signore far questo fallo? Tu sii la mal venuta per le mille volte! — Ed alzato il bastone, lo ’ncominciò a sonare. Egano, udendo questo e veggendo il bastone, senza dir parola cominciò a fuggire, ed Anichino appresso, sempre dicendo: — Via, che Iddio vi metta in malanno, rea femina, ché io il dirò domattina ad Egano per certo. — Egano, avendone avute parecchie delle buone, come piú tosto poté, se ne tornò alla camera; il quale la donna domandò se Anichin fosse al giardin venuto. Egano disse: — Cosí non fosse egli, per ciò che, credendo esso che io fossi te, m’ha con un bastone tutto rotto e dettami la maggior villania che mai si dicesse a niuna cattiva femina. E per certo io mi maravigliava forte di lui, che egli con animo di far cosa che mi fosse vergogna t’avesse quelle parole dette: ma per ciò che cosí lieta e festante ti vede, ti volle provare. — Allora, — disse la donna — lodato sia Iddio che egli ha me provata con parole e te con fatti: e credo che egli possa dire che io porti con piú pazienza le parole, che tu i fatti non fai. Ma poi che tanta fede ti porta, si vuole aver caro e fargli onore. — Egano disse: — Per certo tu di’ il vero. — E da questo prendendo argomento, era in oppinione d’avere la piú leal donna ed il piú fedel servidore che mai avesse alcun gentile uomo; per la qual cosa, come che poi piú volte con Anichino ed egli e la donna ridesser di questo fatto, Anichino e la donna ebbero assai piú agio di quello che per avventura avuto non avrebbono a far di quello che loro era diletto e piacere, mentre ad Anichin piacque dimorar con Egano in Bologna.