Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/118

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che la cagione si sia?

E detto questo, mirandomi con atto umilissimo quasi da compassione delli miei mali compunti, partendosi, me di me lasciavano piú che l’usato pietosa. Altri intra sè dimandavano: Deh, è questa donna stata inferma?, e poi a se medesimi rispondevano: Egli mostra di sí, sí è magra tornata’ e iscolorita; di che egli è gran peccato, pensando alla sua smarrita bellezza.

Certi ve n’erano di piú profondo conoscimento, il che mi dolea, li quali dopo lungo parlare dicevano: La palidezza di questa giovine dà segnali d’innamorato cuore. E quale infermità mai alcuno assottiglia, come fa il troppo fervente amore? Veramente ella ama, e se cosí è, crudele è colui che a lei è di si fatta noia cagione, per la quale essa cosí s’assottigli.

Quando questo avvenne, dico che io non potei ritenere alcuno sospiro, veggendo di me molta piú pietà in altrui che in colui che ragionevolmente avere la dovria. E dopo li mandati sospiri, con voce tacita pregai per li coloro beni umilemente gl’iddii. E certo egli mi ricorda la mia onestà avere avute tra quelli che cosí ragionavano tante forze che alcuni mi scusavano, dicendo: Cessi Iddio che questo di questa donna si creda, cioè che amore la molesti; ella, piú che alcuna altra onesta, mai di ciò non mostrò sembiante alcuno, nè mai ragionamento nessuno tra gli amanti si potè di suo amore ascoltare: e certo egli non è passione da potere lungamente occultare.

Ohimè! diceva io allora fra me medesima quanto sono costoro lontani alla verità, me innamorata non reputando, perciò che come pazza negli occhi e nelle bocche de’ giovini non metto li miei amori, come molte altre fanno!.