Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/155

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dobbiamo venire, quanto il modo di quella piango, il quale disavventurato e sozzo conoscesti, e oltre a ciò le male andate cose dopo lui a maggior doglia mi stringono. Io non posso sì poco chiudere o dare al sonno gli occhi dolenti, come egli palido e di squallore coperto e sanguinoso, mostrandomi l’acerbe piaghe m’apparisce davanti. E pure testè, allora che tu piagner mi sentisti, di prima m’era egli nel sonno apparito con imagine orribile, stanco, pauroso, e con ansio petto, tale che appena pareva che potesse le parole riavere; ma pur con fatica grandissima mi disse: O cara sorella, caccia da me la vergogna, che con turbata fronte mirando la terra mi fa tra gli altri spiriti andare dolente. Io, ancora che di vederlo alcuna consolazione sentissi, pure vinta dalla compassione presa dell’abito suo e delle parole, sùbito riscotendomi, fuggì il sonno; al quale a mano a mano le mie lagrime, le quali tu ora consoli, solvendo il debito dell’avuta pietà, seguitarono; e, come gl’iddii conoscono, se a me l’armi si convenissero, già vendicato l’averei, e lui tra gli altri spiriti renduto con alta fronte, ma più non posso. Adunque, caro marito, non senza cagione miseramente m’attristo.

Oh quante pietose parole egli allora mi porse, medicando la piaga, la quale assai davanti era guarita, e li miei pianti s’ingegnò di rattemperare con quelle vere ragioni, che alle mie bugie si confaceano! Ma poi che egli, me racconsolata credendosi, si diede al sonno, io, pensando alla pietà di lui, con più crudele doglia tacitamente piagnendo, ricominciai la tramezzata angoscia, dicendo: O crudelissime spelunche abitate dalle rabbiose fiere, o inferno, o etterna prigione decretata alla nocente