Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/165

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tal pena sostengo quale egli, anzi maggiore, però che egli con alcuna speranza delle vicine onde e de’ propinqui pomi pure si crede alcuna volta potere saziare, ma io ora del tutto disperata di ciò che a mia consolazione sperava, e più amando che mai colui che nell’altrui forza con suo volere è ritenuto, tutta di sè m’ha fatta di speranza rimanere di fuori. E ancora il misero Issione nella fiera ruota voltato non sente doglia sì fatta, che alla mia si possa agguagliare: io, in continuo movimento da furiosa rabbia per gli avversarii fati rivolta, patisco più pena di lui assai. E se le figliuole di Danao ne’ forati vasi con vana fatica continuo versano acque credendoli empiere, e io con gli occhi, tirate dal tristo cuore, sempre lagrime verso.

Perchè ad una ad una le infernali pene mi fatico io di raccontare? Con ciò sia cosa che in me maggior pena tutta insieme si trova, che quelle in diviso o congiunte non sono. E se altro in me più che in loro d’angoscia non fosse, se non che a me conviene tenere occulti li miei dolori, o almeno la cagione d’essi, là dove essi con voci altissime e con atti conformi alle loro doglie li possono mostrare, si sarieno le mie pene maggiori che le loro da giudicare. Ohimè! quanto più fieramente cuoce il fuoco ristretto, che quello il quale per ampio luogo manda le fiamme sue! E quanto è grave cosa e di guai piena il non potere nelle sue doglie spandere alcuna voce, o dire la nociva cagione, ma convenirle sotto lieto viso nascondere solo nel cuore! Dunque non doglia, ma piuttosto di doglia alleggiamento mi sarebbe la morte. Venga adunque il caro marito, e sè ad un’ora vendichi, e me cacci di doglia; apra il suo coltello il mio misero petto, e fuori la dolente anima, amore e le