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a’ quali se fede alcuna si puote attribuire, Tristano e Isotta oltre ad ogni altro amante essersi amati, e con diletto mescolato a molte avversità avere la loro età più giovine essercitata dobbiamo credere; li quali, però che molto amandosi insieme vennero ad un fine, non pare che si creda che senza grandissima doglia e dell’uno e dell’altro li mondani diletti abandonassero: il che agevolmente si può concedere, se essi con credenza si partirono del mondo, che altrove questi diletti non si potessero avere; ma se questa oppinione ebbero d’essere altrove, come di qua erano, piuttosto a loro nel loro morire letizia si dee credere che tristizia la ricevuta morte, la quale, benchè da molti sia fierissima e dura tenuta, non credo che sia così. E che certezza di doglia puote uno rendere, testimoniando cosa che egli non provò mai? Certo niuna. Nelle braccia di Tristano era la morte di sè e della sua donna: se quando strinse gli fosse doluto, egli avrebbe aperte le braccia, e saria cessato il dolore. E oltre a ciò, diciamo pure che gravissima sia ragionevolmente: che gravezza diremo noi che possa essere in cosa che non avvenga se non una volta, e quella occupi pochissimo spazio di tempo? Certo niuna. Finirono adunque Isotta e Tristano ad un’ora li diletti e le doglie, ma a me molto tempo in doglia incomparabile è sopra gli avuti diletti avanzato.
Aggiugne ancora il mio pensiero al numero delle predette la misera Fedra, la quale, col suo mal consigliato furore, fu cagione di crudelissima morte a colui il quale ella più che se medesima amava. E certo io non so quello che a lei si seguì di cotale fallo, ma certa sono, se a me mai avvenisse, niuna altra