Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/50

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46 il filocolo

fará meritar perdono di ciò che voi avete oggi non giustamente operato. E dette queste parole, tornava a baciare il sanguinoso viso; e di questo non si poteva veder sazia, anzi l’aveva giá tutto con le lagrime lavato, e piangendo forte sopr’esso si dimorava dolente.

Ma poi che il sole nascose i suoi raggi nell’oscure tenebre, e le stelle cominciarono a mostrar la loro luce, il campo si cominciò con taciturnitá a riposare, sí per l’affanno ricevuto il preterito giorno che richiedeva a gli affannati membri riposo, e sí per l’allegrezza della vittoria che molte menti aveva nel vino sepellite. Sol l’angoscioso pianto di Giulia e delle sue compagne faceva risonare la trista valle, e questo risonava negli orecchi del vittorioso re. Ed egli, che ne’ tesi padiglioni si riposava, udendo quelle voci, chiamò un nobile cavaliere, il quale s’appellava Ascalione, e disse: «Or di cui sono le misere voci che io odo, sí che non lasciano partire della nostra mente in modo alcuno la crudele uccisione fatta nel passato giorno?». «Sire» disse Ascalione, «io imagino che sia alcuna donna, la quale forse era moglie d’alcuno del morto popolo, e cosí mi par d’avere inteso da’ compagni, e similmente la sua favella, la quale io intendo bene, il manifesta». Allora gli comandò il re che andasse ad essa, e comandassele ch’ella tacesse, acciò che ’l suo pianto non aggiungesse piú cagione al dolore del preterito danno. Mossesi Ascalione con alquanti compagni, e per la scura notte con picciol lume, per lo sanguinoso campo scalpitando i morti visi, andò in quella parte dov’egli sentí le dolenti voci, e pervenne a Giulia; alla quale, come Ascalione la vide, imaginando le nascose bellezze sotto il morto sangue del suo viso, mosso dentro a pietá, quasi lagrimando disse: «O giovane donna, il cui dolore invita gli occhi miei, veggendoti, a lagrimare, io ti priego, per quella nobiltá che ’l tuo aspetto mi rappresenta, che tu ti conforti e ponga fine alle tue lagrime. Certo io non so qual sia la cagione della tua doglia, ma credo che sia grande; e chente ch’ella si sia, non credo che per lo tuo pianto si possa ammendare, ma piú tosto piangendo aumentare la potresti. E