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non possono pienamente convenirne, che tutti quelli che hanno provato per esperienza la difficile impresa di sì fatto lavoro.
Il manoscritto sopra il quale fu fatta l’edizione di Napoli sopra indicata, è quello stesso di cui mi son giovato per emendare il testo dell’edizione da me procurata: esiste nella biblioteca Magliabechiana al numero 58. È stato scritto sul principio del secolo XV, tutto dall’istessa mano, ed è cartaceo in foglio, consistente di pagine 467. Questo bel codice è correttissimo, ed è facile accorgersi che fu copiato da persona di non comune intelligenza: reca però dispiacere di osservare il margine delle pagine occupato da inutili postille, e spesso anche il testo, con goffi freghi e richiami il carattere di queste postille è di mani diverse, dei secoli XVII, e XVIII.
Io non ho certamente la presunzione di offrire agli ammiratori del Boccaccio e agli studiosi di Dante quest’edizione del Commento perfettissima e senza errori di sorta, so che affermerei l’impossibile. È però vero che molti editori e antichi e moderni proclamano le loro edizioni come il tipo della perfezione, con quella medesima indiscretezza, con la quale bene spesso i critici censurano gli editori. Il lettore intelligente giudicherà quanto gli uni e gli altri siano valenti speculatori dell’umane forze. Ben lungi da supporre perfetta l’opera mia, ho bensì la convinzione di avere adempito all’impegno contratto nel miglior modo che per me si poteva, e la certezza di avere infinitamente migliorato il testo del Commento del Boccaccio, che assai infedelmente si leggeva nella