assai più ce n’abbia, queste tre bastino a mostrare, per lui ottimamente potersi intendere il vizio della superbia. Dissi adunque il lione essere non solamente audace, ma temerario; perciocchè senza misurare le forze sua, non è alcuno animale sì forte, che ne sono assai più forti di lui, il quale egli non presuma d’assalire, di che egli talvolta con gran suo danno è ributtato indietro. Ed Aristotile nel terzo dell’Etica, là dove parla della fortezza, dice che l’esser temerario è vizio, in quanto il temerario presume oltre alle sue forze, quello che a lui non s’appartiene: e questo vizio è il presumere alcuno di combattere con due o con tre, o con più; conciosiacosachè ciascun debba credere uno poter quanto un altro, e con quell’uno mettersi a combattere è ardire e segno di fortezza, dove 1’andar contro a più, potendogli schifare, è temerità. In questo l’uomo superbo è simigliante al leone, perciocchè il desiderio del superbo è tanto di parere quello che egli non è, che cosa non è alcuna sì grave che egli non presuma di fare, quantunque a lui non si convenga, solo che egli creda per quello essere reputato magnanimo. E questa cechità ha giù messo in distruzione molti regni, molte provincie e molte genti. Questa fu la cagione al primo agnolo d’esser cacciato di paradiso con tutti i suoi seguaci. Questa fu cagione a Capaneo d’essere fulminato e gettato dalle mura di Tebe in terra. Questa fu cagione a Golia d’essere ucciso da David, come la Scrittura santa ne dice. Dissi ancora che il lione era rapace e soprastante: la qual cosa è quanto più può propria al superbo, al quale, quantunque ricco