Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
SOPRA DANTE | 183 |
ma tifone nella sua meteora, dove chi vuole può pienamente vedere di questa materia. Ed io ch’avea d’orror, cioè di stupore, la testa cinta, cioè intorniata: e questo dice per lo moto circulare di quel tumulto,
Dissi, Maestro, che è quel ch’io odo?
che fa questo tumulto, E che gent’è, questa, che par nel duol sì vinta? secondo che le lor voci manifestano. Ed egli a me. In questa seconda parte della suddivisione, dichiara Virgilio all’autore chi sien costoro de’ quali esso dimanda. Ed egli, cioè Virgilio, a me, supple rispose: questo misero modo, il quale tu odi, e del quale tu se’ stupefatto,
Tengon l’anime triste di coloro,
Che visser senza infamia, d’alcuna loro malvagia operazione; perciocchè quantunque buone non fossero, erano intorno a sì bassa e misera materia, che di sè non davano alcuna cagion di parlare, e perciò si può dire che senza infamia vissero, e senza lodo, cioè senza fama; perciocchè come del loro male adoperare è detto, il simigliante dir si può se alcun bene adoperavano. Ma da vedere è che gente questa può essere: e se io estimo bene, questa mi pare quella maniera d’uomini li quali noi chiamiamo mentecatti o vero dementi, li quali ancorachè abbiano alcun senso umano, per molta umidità di cerebro hanno sì il vigore del cuore spento; che cosa alcuna non ardiscono adoperare degna di laude, anzi si stanno freddi e rimessi, ed il più del tempo oziosi, quantunque talvolta sospinti sieno dal desiderio di dovere