mente si converte in nulla, siccome noi veggiamo avvenire de’ fulgori temporali, che testè sono, e testè non sono. Or nondimeno sono appo la nostra fragilità di tanta forza, che spesse volte occupano tanto le menti d’alcuno, e con tanta affezione desiderati sono, che lasciata la debita notizia di Dio o dello splendore eterno, per qual via, e per li vizii e per le malvage operazioni si trascorre in essi. Di che assai appare a questi cotali ogni sentimento razionale esser tolto, ed essi cadere nelle colpe e nelle miserie del peccato, come cade colui il quale è soprappreso dal sonno. E fa in questo l’autore debita comparazione; perciocchè quantunque peccando mortalmente nella infernal morte si caggia, nondimeno è questa morte in tanto simile al sonno, in quanto l’uomo si può da essa destare mentre nella presente vita dimora, siccome nel principio del seguente canto mostra l’autore d’essere stato desto, ma da grave tuono, la gravità del qual tuono possiam dire essere stata alcuna di quelle cose, con le quali d’avanti nel principio del primo canto del presente libro dicemmo, che Domeneddio toccava il peccatore colla grazia operante, quando in alcuno la mandava. E meritamente qui possiam repetere quello che nel predetto luogo dicemmo, l’autore per lo sonno non essersi accorto come nella prigione del diavolo s’entrasse, cioè come si trapassasse il fiume d’Acheronte; ma destandosi, e trovandosi dall’altra parte del fiume, assai leggiermente conoscer si può, la sua colpa e la sentenza di Dio avervelo trasportato: e questo trasportamento sarebbe stoltizia a credere che corporale fosse stato. Fu