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Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo I, 1831.djvu/242

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222 COMENTO DEL BOCCACCI

nel Limbo, che l’Abisso, cioè Inferno, cigne, cioè attornia. Quivi in quel primo cerchio, secondochè per ascoltare potea comprendere, Non avea pianto mai, cioè d altro, che di sospiri. È il sospirare una esalazione che muove dal cuore, da alcuna noia faticato, il quale il cuore, per agevolamento di sè, manda fuori: e se così non facesse, potrebbe l’angoscia ritenuta dentro tanto ampliarsi, e tanto gonfiare intorno a lui, che ella potrebbe interchiuder sì lo spirito vitale, che il cuore perirebbe: e perciocchè la quantità dell’angoscia di quelle anime, che eran laggiù, era molta, pare i sospiri dovere esser molti, e con impeto mandati; fuori per la qual cosa convien che segua quello che appresso dice, cioè, Che l’aura eterna, in quanto non si muta la qualità di quella aura, nè avia un soave movimento d’aere: e per questa cagione non credo voglia dire il testo aura, perciocchè alcuna soavità non ha in inferno, anzi v’è ogni moto impetuoso e noioso; e quinci credo voglia dire aere eterno: facevan, gl’impeti de ’sospiri, tremare, cioè avere un movimento non maggiore che il tremare. E ciò avvenia, cioè questo sospirare, da duol senza martirj. Non eran dunque quelle anime, che quivi erano, da alcuna pena estrinseca stimolate, ma da affanno intrinseco, il quale si causava dal conoscimento della lor miseria, vedendosi private della presenza di Dio, non per loro colpa o peccato commesso, ma per lo non avere avuto battesimo, come appresso si dice: Che avean le turbe, cioè moltitudini, ch’eran grandi, D’infanti, cioè di pargoli, li quali infanti si chiamano, percioc-