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SOPRA DANTE 161

vimenti de’ cieli e delle loro operazioni, secondo il mio piccolo conoscimento, credo si possa dire essere quella cosa la quale noi chiamiamo fortuna, e la qual noi vogliamo esser ministra e duce de’beni temporali: e in questa opinione, se io intendo tanto, mi par che fossero que’ poeti, i quali sentirono che l’una delle tre sorelle chiamate Parche, o fate, che vogliam dire, cioè Cloto, Lachesis e Atropos, alle quali la concezione e il nascimento di ciascun mortale, e similmente la vita e la morte attribuiscono, fosse questa fortuna; e quella di queste tre vogliono che sia Lachesis, cioè quella la quale dicono che, nascendo noi, ne riceve e nutrica in varii e molti mutamenti, infino al dì della morte, e questa secondo la qualità della vita di ciascuno, al parer degli uomini seguitando, dicono essere buona e malvagia fortuna: e perciocchè, come detto è, in essa vita consistono le revoluzioni e’ mutamenti di ciascuno, assai appare ciò non essere altro che l’universale effetto di tutti i cieli, da’ quali questi movimenti, quanto al corpo, son causati in noi. E questa fortuna chiama l’autore dea, poeticamente parlando, e secondo l’antico costume de’ gentili, i quali ogni cosa la qual vedeano che lungamente durar dovesse, o esser perpetua, deificavano siccome i cieli, le stelle, i pianeti, gli elementi, i fiumi e le fonti, i quali tutti chiamavano dei: e però vuol l’autore sentire per questa deità la perpetuità di questo effetto, Il quale tanto dobbiam credere che debba durare quanto i cieli dureranno, e produceranno gli effetti i quali producer veggiamo. Ora che che io n’abbia detto

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