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202 COMENTO DEL BOCCACCI

nelle tenebre dell’ignoranza offuscati, spesse volte e noi e altrui in miseria quasi incomportabile sospignamo: di che provocata sopra noi la divina ira, avviene, che la sua giustizia ne manda in parte, dove gli splendor mondani, e le ricchezze e le dignità avute son per niente, e noi non altramenti che porci siamo avviluppati, convolti e strascinati in puzzolente e fastidioso loto, dove con misera ricordazione e continua senza pro’ cognosciamo che noi eravam terrei, quando adirati di percuotere il cielo non che altro ci sforzavamo. Alla dimostrazione della qual cosa, acciocchè deducendoci pervegnamo, prima mi par di dimostrare in che questo vizio consista, che di procedere ad altro, acciocchè per questa dichiarazione sia meglio conosciuto, e per conseguente dal meglio conosciuto, meglio guardar ci possiamo: e oltre a ciò con men difficultà veggiamo, come attamente l’autor disegni dalla giustizia di Dio essere alla colpa dato conveniente supplicio.

Dico adunque, che secondochè ad Aristotile pare nel quarto dell’Etica, che l’ira, la quale meritamente si dee reputar vizio, è un disordinato appetito di vendetta; e perciò pare questa essere causata da tristizia nata nell’adirato, per alcuna ingiuria ricevuta in sè o in alcun di cui gli caglia, o nelle sue cose, o falsa o vera che quella ingiuria sia. E in tanto è questo appetito vizioso, in quanto questi cotali iracundi si turbano verso coloro, verso i quali non è di bisogno turbarsi, e per quelle cose per le quali turbar non si deono, e quando turbar non si deono, e ancora