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LIBRO SETTIMO | 217 |
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A Palemone andò Ida pisano,
E dopo lui Ulisse e Diomede,
E Minos co’ fratelli a mano a mano,
E ’l re Evandro, a cui non servar fede
Li suo, che ’l fer del suo reame strano
Gir per lo mondo, come ancor si crede:
Andovvi di Tessaglia il grande Admeto,
Ed Encelado e Niso a lui di dreto.
18
Così divisi, dalli suoi elesse
Arcita dieci, li qua’ caramente
Pregò che ciascun nove ne prendesse
Con seco della sua più cara gente,
Acciocchè cento de’ migliori avesse;
Ed essi il feciono assai prestamente,
E scritti furo, e agli altri fu detto
Che buon tempo si desser con diletto.
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E simil fece ancora Palemone,
E di buon omin si trovar sì pari,
Ched e’ non v’era alcuna variazione:
E credesi che non ne fosser guari
Rimasi al mondo di tal condizione,
Così gentili e per prodezza pari,
Qual era quivi l’uno e l’altro cento,
Di che Teseo fu assai contento.