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LIBRO SETTIMO | 221 |
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Era allor forse Marte in esercizio
Di chiara far la parte rugginosa
Del grande suo ed orribile ospizio,
Quando d’Arcita l’orazion pietosa
Pervenne li, per fare il dato ufizio
Tuttavia nell’aspetto lagrimosa:
La qual divenne di spavento muta
Com’ di Marte la casa ebbe veduta.
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Ne’ campi tracii sotto i cieli iberni
Da tempesta continova agitati,
Dove schiere di nembi sempiterni
Da’ venti or qua ed or là trasmutati
In varii luoghi ne’ guazzosi verni,
E d’acqua globi per freddo aggroppati
Gittati sono, e neve tuttavia,
Che ’n ghiaccio a mano a man s’indura e cria:
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E ’n una selva steril di robusti
Cerri, dov’eran folti ed alti molto,
Nodosi ed aspri, rigidi e vetusti,
Che d’ombra eterna ricuoprono il volto
Del tristo suolo, e in fra gli antichi fusti,
Da ben mille furor sempre ravvolto,
Vi si sentia grandissimo romore,
Nè v’era bestia ancora nè pastore.