Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/287

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rando fetori che stomacano, toccando spine di certa ruvidità, stavamene in Napoli Virgiliana, per ivi seguitare imperturbabile offciò di libertà; quando una volta mi levai prima del giorno, tutto debole e sonnacchioso, e aperto l’uscio men’andai fuora del mio tugurietto incamminandomi per l’umido lido. E già la notte cominciando a mutarsi in giorno, ed io presso la tomba di Marone passeggiandomene spensierato ed incauto: ecco d’improvviso donna gioviale, come folgore discendendo mi apparve, tutta, non so come, e per maniere, e per aspetto al mio gusto conforme. Oh come a tale apparimento stupii! tanto che parvemi d’esser diventato cosa ben da più di me stesso; anzi, io che mi conosceva una larva, e così rifinito nelle operazioni dell’anima, vegliando sempre in follia, sognava; le pupille ebbi allora talmente serrate, che bramava sapere s’io fossi desto davvero.

Alla fine il mio stordimento cessò pel romore d’un tuono, che siccome a’ lampi celesti vengon subito dietro i tuoni, così veduta appena la fiamma di quella bellezza, amor terribile ed imperioso mi prese; e fiero pari a signore, che scacciato dal suol natio, dopo lungo esilio alle sue terre ne torna, quant’era in me di contrario a lui od uccise o cacciò via, o di catene ricinse, senza opposizione d’alcuna virtù. Ma qual aspro di me governo facesse, cercatelo fuor dell’angustia di questo foglio là dove con breve calliopeo discorso in duplice modo sarà divulgato.