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RAGGUAGLI DI PARNASO

vedere qual fosse quel potentato, per antico, per ereditario e per ottimo ch’egli si fosse, che non venisse bagnato dall’acqua di quella diffinizione tanto universale: quasi che il fine di ogni pastore, non il guadagno di mungere e tosar le sue pecore, ma solo fosse il tanto innamorarsi di esse, che altri non dovesse curar di morirsi di fame che ingrossarle. E che troppo grasso ignorantone si scopriva Aristotile, se mostrava di non sapere che il fine di tutte le mercanzie era il guadagno, e che il mondo tutto è una pubblica e gran bottega. E che se la stessa legge naturale tanto commendava la caritá ben ordinata, che si veggono i padri piú amar loro stessi che i propri figliuoli, con qual fondamento di ragione quel pecorone di Aristotile voleva obbligare i prencipi a piú amar le altrui che le proprie commoditá? E in questa occasione soggiunsero i prencipi che la petulanza de’ letterati, in molti particolari anco di somma importanza, di modo avea trapassati i termini tutti dell’onestá, che, accecati da una superba presunzione, non aveano dubitato di metter la bocca fino negl’ interessi maggiori de’ prencipi, e fino pubblicar le regole della ragion di stato : non accorgendosi gl’ infelici che la cognizione delle cose politiche tanto è lontana dal giudicio comune di qualsivoglia ancorché bell’ ingegno, che di essa non devono ragionar altri che uomini consumati ne’ governi de’ regni e negli affari de’ prencipi grandi, ancor che sieno ignorantissimi di quella filosofia, di quella rettorica e di quelle altre belle scienze, che i letterati hanno registrati ne’ loro scartafacci. Perché non avendo, la politica, teorica da potersi far di essa una gramatica che altrui insegni l’arte di ben governare gli stati, tutta stava posta nella pratica; della quale quei che non l’aveano appresa nelle secretarle de’ prencipi grandi e ne’ consigli di stato, per non farsi ridicoli al mondo, quando dicono e scrivono cose degne di staffilate, non dovevano mai ragionarne.

Da queste parole il duca Federico chiaramente conobbe esser giusto lo sdegno de’ prencipi : onde facilmente ottenne da Aristotile che rivocasse l’antica diffinizione del tiranno e che ne facesse una nuova, che di soddisfazione fosse a quei prencipi tanto adirati. Allora si ritrattò subito Aristotile, e disse che i