Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. I, 1948 – BEIC 1771083.djvu/371

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vergogna che dagli uomini saggi tanto è abborrita: e tutto che il vostro brutto modo di procedere meriti penitenza molto piú grave, voglio nondimeno soddisfarmi di questa che vi do ora. Sceglierete dunque con le vostre mani, senza l’aiuto del crivello, il loglio tutto e le altre immondizie che trovarete in un moggio di grano che pur ora da Columella, mio fattor generale, vi farò consegnare, e portatelo a noi, che vi diremo quello che doverete farne. — Da Columella incontanente a quello sfortunato fu consegnato il moggio di grano, pieno di tanto loglio, che molto tempo consumò a nettarlo; e in un canestro molto grande lo presentò a iSua Maestá. Disse allora Apollo a quel virtuoso che portasse il loglio in piazza e lo vendesse, che libero dono li faceva del danaro che ne avesse cavato. E perché quegli soggiunse che non solo disperava di poter trovare compratore alcuno a quella vilissima mercatanzia, ma che il solo comparir nella pubblica piazza con quel canestro di cosi brutta sporcizia era azione indegna di un suo pari; gli replicò Apollo che ad alcuno donasse il loglio, e che con esso facesse acquisto di un nuovo amico. Disse allora quel miserabile ch’egli non ardiva di presentare a qualsivoglia persona cosa tanto vile, per la quale sicuramente sapeva che egli sarebbe stato beffato. Allora Apollo, nel suo sdegno non poco essendosi mitigato, disse che, se le immondizie che altri cavava dalle cose buone non era mercatanzia da uomini saggi, e che non valevano né per vendere né per donare, egli da sé confessava di allora male essersi consigliato, quando intraprese il pazzo negozio di lasciar le rose che aveva trovate nel poema censurato da lui, per far inutile e vergognosa conserva delle spine: e che negli studi delle altrui fatiche gli accorti virtuosi imitavano le api che da’ fiori anco amari sapevano cavare il miele, e che sotto la luna non trovandosi cosa che non fosse impastata di molte imperfezioni, anco dagli scritti di Omero, di Virgilio, di Livio, di Tacito e di Ippocrate, ch’erano la meraviglia degli inchiostri, quando altri con la stamigna di un accurato studio avesse voluto stacciarli, sempre avrebbe cavato un poco di crusca. Ma che a lui bastava che la farina degli scritti de’ suoi virtuosi fosse corrente alla piazza e mercantile : e che dai