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RAGGUAGLIO XCIII

L’Asino d’oro ad Apuleio suo padrone avendo dato un paio di calci

nel petto, da lui molto severamente è castigato.

Che in Parnaso dopo il celeberrimo cavallo pegaseo la prima e pili pregiata bestia che vi si truovi sia VAsino d’oro di Apuleio, è cosa nota ai professori tutti delle buone lettere. Il Beroaldo bolognese, che dalla stessa Maestá di Apollo col salario di tre scudi il mese è preposto alla cura di cosi pregiato somaro, stava l’altra mattina avanti la porta della stalla strigliandolo, mentre lo stesso Apuleio, per render lustro il pelo del suo Asino , lo palpeggiava con la mano. E occorse che il somaro senza proposito alcuno contro il suo padrone sparò un paio di calci, co’ quali avendolo còlto nel petto, come morto lo gettò in terra. E certa cosa è che grave fu il travaglio di Apuleio, poiché gli speciali con molti confortativi rimedi grandemente penarono in far ritornare in lui gli spiriti smarriti; ma, come prima egli si fu ben riavuto, diede di mano ad un forcone che trovò nella stalla, e con esso, vendicandosi contro il malaccorto suo somaro, li fece contar cinquanta sode bastonate, tutte cosi pesanti, che gli sconcertarono le ossa della vita: e poi si parti. Allora il Beroaldo, per la disgrazia accaduta al suo dilettissimo somaro sommamente afflitto, l’abbracciò nel collo, e caramente baciandolo: — Asino mio d’oro — li disse, — qual tuo e mio infelice destino ti ha spinto a tirarti addosso l’orrendo infortunio, che, crudelmente avendo pestato te, in infinito ha afflitto il tuo caro Beroaldo? Lo sviscerato amore da fratello, che ti porto, mi sforza dirti che a danari contanti ti sei comperata la disgrazia che ti è accaduta, pazzamente senza tuo prò alcuno cosi malamente avendo maltrattato il tuo padrone. — Con allegria grande, come se le bastonate, ch’egli da Apuleio aveva ricevute, fossero stati favori, cosi al Beroaldo rispose il somaro: — Né per inavvertenza né per bestialitá d’ingegno capriccioso ho io, Beroaldo