[St. 39-42] |
libro i. canto vi |
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De qui se parte il conte, e lascia il frate;
Va per la selva dietro ad un sentiero,
E gionse proprio dove quattro strate
Faceano croce; e stava in gran pensiero
Qual de esse meni alle terre abitate.
Vede per l’una venire un correro;
Con molta fretta quel correro andava:
Il conte de novelle il dimandava.
Dicea colui: Di Media son venuto,1
E voglio andare al re di Circasia;
Per tutto il mondo vo’ cercando aiuto
Per una dama, che è regina mia.
Ora ascoltati il caso intravenuto:
Il grande imperator di Tartaria
De la regina è inamorato forte,
Ma quella dama a lui vol mal di morte.2
Il patre della dama, Galifrone,
È omo antiquo ed amator di pace;
Nè col Tartaro vol la questïone,
Chè quello è un segnor forte e troppo audace.
Vol che la figlia, contra a ogni ragione,
Prenda colui che tanto li dispiace:
La damigella prima vol morire
Che alla voglia del patre consentire.
Ella ne è dentro ad Albraca fuggita,
Che longe è dal Cataio una giornata;
Ed è una rocca forte e ben guarnita,
Da fare a lungo assedio gran durata.
Lì dentro adesso è la dama polita,
Angelica nel mondo nominata;
Chè qualunche è nel cel più chiara stella,3
Ha manco luce ed è di lei men bella.4
- ↑ T. collui.
- ↑ P. E quella; T. e Ml. da morte.
- ↑ P. Che.
- ↑ Ml. Da manco.