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140 orlando innamorato [St. 27-30]

27 Però stava quel re con trista ciera,
     Guardando intorno per suspizïone.
     A lui davanti, ne la mensa altiera,
     Sopra de un ziglio d’oro era il carbone,
     Che dava luce a guisa de lumiera,
     Facendo lume per ogni cantone;
     Ed era il quadro di quella gran piaccia
     Per ciascun lato cinquecento braccia.

28 Tutta coperta de una pietra viva
     Era la piazza e d’intorno serrata;
     Per quattro porte di quella se usciva,
     Ciascuna riccamente lavorata.
     Non vi ha fenestra e d’ogni luce è priva,
     Se non che è dal carbone aluminata,
     Qual rendeva là giù tanto splendore,
     Che a pena il sole al giorno l’ha maggiore.

29 Il conte, che di questo non ha cura,
     Verso una porta prese il suo camino,
     Ma quella nella entrata è tanto scura,
     Che non sa dove andare il paladino.
     Ritorna adietro e d’intorno procura
     De l’altre uscite per ogni confino;
     Tutte le cerca senza alcuna posa:
     Ciascuna è più dolente e tenebrosa.

30 Mentre che pensa e sta tutto suspeso,
     Andogli il core a quella pietra eletta,
     Che nella mente parea foco acceso,
     Onde a pigliarla corse con gran fretta;
     Ma la figura che avea l’arco teso,
     Subitamente scocca la saetta,
     E gionse drittamente nel carbone,
     Spargendo il lume a gran confusïone.

13. MI. e P. Non ha finestra. — 15. P. Che rendeva.