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Sì, feroce Zanardelli; la ghigliottina é più umana della tua clemenza.

Reprimere senza prevenire, gridasti alla Camera dopo l’attentato di Passanante.

Ebbene, i regicidi hanno appreso questa massima: Essi reprimono, anzi sopprimono senza prevenire.


Povero Bresci! Ho paura per lui. Il giornalismo rettile dice che non è più calmo. Egli grida, la camicia di forza, le catene alle mani e ai piedi lo irritano.

È troppo presto!

Egli è forte, robusto, sanguigno e giovane; se la testa non è d’acciaio soccomberà ai supplizi che la vigliaccheria dei carcerieri gli riserva.

Impazzirà. I pazzi hanno la vita lunga; egli può vivere trent’anni: quale lunga agonia! È meglio mille volte la ghigliottina. Ma da qui a trenta anni non vi saranno più re in Italia: le loro statue saranno atterrate e al loro posto vi avranno innalzate quelle dei regicidi.

Bresci, il 29 agosto, un mese dopo l’atto di Monza, comparve davanti la pretesa giustizia della monarchia. Egli sapeva ciò che l’attendeva. Fu calmo, freddo, impassibile, senza pose e senza smargiassate. Non discorsi, non frasi, qualche parola e fu tutto.

Dopo l’appello dei testimoni, in numero di sedici, comincia l’interrogatorio. Bresci, freddamente, afferma di avere ucciso il re per vendicare le vittime delle repressioni di Sicilia e di Milano. Fu alla epoca di tali repressioni che concepì il suo atto.

Il presidente: Il governo è il solo responsabile.

Bresci: Ma il re sottoscrive i decreti.

E aggiunge in risposta alle interrogazioni: Ho voluto vendicare la miseria del popolo e la mia. Ho agito solo, senza consigli e senza complici.

L’accusato conferma brevemente la maggior par-