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34 e. cais di pierlas

gli abiti sacerdotali, celebrandovi i funerali ai defunti. Rispondevano i monaci non altrimenti che i loro contraddittori aveano altra volta risposto, tale essere l’usanza quando i fedeli ne esprimevano il desiderio. Ma il vescovo Stefano od i consoli Arnaldas de la Porta, Altionus, Guil. Trentamoia, Rainaldus Amedeus, Guil. Lecar decisero che al Priore di S. Michele non spettava tale diritto per i religiosi defunti che però sarebbe stato loro concesso purchè in presenza del Vescovo o del suo vicario secondo i riti dei benedettini e dei Santi Padri: per gli altri parocchiani i funebri sarebbero celebrati col concorso dei canonici e dei preti; che qualora il decano del capitolo, un canonico od alcun loro cappellano fossero stati invitati a celebrare la massa, questi l’avrebbero cantata all’altare di S. Giovanni ed il Priore coi suoi monaci a quello di Santa Maddalena, in guisa tale che nè gli uni nè gli altri la cantassero all’altare di S. Michele o di S. Pietro; se però i soli monaci erano invitati a celebrare questi funerali, era lor diritto di celebrare la messa all’altare di loro scelta.

Avrebbero pure avuto per lecito di fare sepolture nel loro monastero senza l’intervento dei canonici, purchè in presenza del vescovo o del suo vicario.

Così fu sentenziato dagli arbitri, come dall’atto redatto dal notaio Celonio nel giugno 11771. Ma tre anni non erano ancora trascorsi che si venne a nuove contestazioni. L’abbate Raimondo ed i canonici comparvero innanzi al cardinal Manfredo, Vescovo di Preneste, Legato in Lombardia e costui, assunto consiglio da Guidone vescovo di Savona, dichiarò che era venuto a sua conoscenza che i monaci cantavano talvolta messe funebri nel medesimo tempo che il

  1. Doc. 22.