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di S. Michele, cum permutatio ipsius ecclesiae in gravamine importabile nostro monasterio verteretur. E la gravità dei fatti che doveano succedere a tale proposito ci si addimostra da quella delle penalità minacciate dal Capitolo in caso di disubbidienza dei monaci; questi se riconosciuti colpevoli saranno scomunicati, privi delle cariche e vantaggi monastici ed anzi saranno eiiciendos nulla spe reversionis aliqua reservata.

Infatti sebbene questi atti inconsulti dei monaci non presentino interesse ad esame per noi, pure cagionarono per quelli interminate usurpazioni e confusioni di proprietà. I concessionari poco a poco cessarono di pagare le annualità; i monaci tralasciarono prima di far valere i loro diritti a finirono poi nell’ignorarne la massima parte. E ciò non sola a Ventimiglia, ma eziandio a Seborga, ove gli abitatori di Vallebona andarono man mano impossessandosi di molte terre ai limiti del territorio di Seborga e del Cuneo e i monaci dovettero iniziare allora inutili rivendicazioni, come fra poco si vedrà.

Tali furono le cause che condussero poco alla volta i monaci di S. Michele a perdere la maggior parte dei beni del Priorato.

Ma è tempo che la nostra relazione ritorni di vari anni indietro specialmente per Ventimiglia; poichè mentre i monaci litigavano coi canonici del Duomo per le cerimonie del culto, e contro il Comune e gli abitanti per proteggere diritti o beni dai vecchi Conti loro concessi, questi medesimi e la loro città si vedeano addensare intorno quella procella che in breve rovesciava la potenza quasi sovrana dei Conti di Ventimiglia, imponeva alla loro città il giogo genovese, l’umiliazione della sconfitta, il sorgere delle due fazioni.

Si svegliava in quest’epoca l’ambizione della Repub-