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I ducati e le Romagne erano in agitazione, inquieta stava la Toscana, dove un partito ibrido sognava di riporre la corona del rinnovato regno d’Etruria sul capo d’un principe forestiero, e dove dall’altro canto si affrettavano ad accorrere diplomatici ufficiali ed officiosi per consigliarla a transazioni ed a temperamenti che volevano significare Italia divisa, e per conseguenza infelice sempre.

Per altra parte, di fronte alle inquietudini ed alle agitazioni popolari stava un protocollo che aveva por tata la nostra questione dal campo glorioso delie armi in quello tortuoso della diplomazia. Qualunque fosse la rivoluzione che ne verrebbe nei consigli della Corona e nelle Assemblee popolari, bisognava trattare, bisognava conferire a Zurigo e venire a patti coll’irreconciliabile nostro nemico, sotto pena d’incorrere l’avversione di tutta l’Europa ufficiale, sotto pena di mostrarsi alleati poco arrendevoli e poco riconoscenti per la Francia.

Tale era la situazione delle cose quando Rattazzi, facendo atto d’annegazione, riassumeva il potere.

Debbo affrettarmi a dire che forse non mai come in quelle critiche circostanze ebbe a mostrarsi così maturo il senno della nazione.

Solo abbisognava un nome che la riassicurasse dei propositi liberali e nazionali del governo, uria mano abile che sapesse timoneggiare lo Stato in guisa da non compromettere alcun principio, e di non urtare troppo direttamente contro quella potenza che, volere o non volere, ha pure ancora tanta parte nel destino dei popoli, e che si chiama diplomazia.

E il paese, a cui parve riconoscere quel nome e quella mano nel deputato d’Alessandria, si senti rinfrancato; ed ancora non era trascorso un mese dacchè il ministero Rattazzi-Lamarmora teneva il potere, che le Assemblee di Toscana, di Bologna, di Modena e di Parma dichiaravano voler l’annessione al regno costituzionale della dinastia di Savoja. I voti di quelle Assemblee vennero di presente accolti dal governo del Re con una solennità che tutti ricordiamo ancora col cuore commosso; e qui, a costo di farmi gridare la