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e chiamerà al trono un principe italiano, dopo che avrà riformato lo Statuto.

«Fatto e deliberato all’unanimità delle due Camere, il dì 13 aprile 1848.»

Il Presidente della Camera dei comuni
Marchese di Torrearsa.
Il Presidente della Camera dei pari
duca di Serradifalco.


Poco dopo si spedivano commissari diplomatici siciliani presso i governi amici del continente; ed oltre al padre Gioachino Ventura e Carlo Gemelli, già inviati il primo alla Corte Pontificia, ed il secondo a quella del Granduca, partirono i tre deputati Emerico Amari, barone Casimiro Pisani e Giuseppe Lafarina con la missione di trattare il riconoscimento per parte della Santa Sede, della Toscana e del Piemonte, non che il progetto d’una lega o federazione italiana; Giuseppe Lamasa, con una schiera di crociati, partiva per la Lombardia; il principe di Granatelli e Luigi Scalia sbarcavano a Genova per recarsi a Londra. E dovunque il cannone di papa Mastai, di casa Lorena e di re Carlo Alberto, salutò la nuova bandiera siciliana.

Si credette che l’Inghilterra e la Francia avrebbero riconosciuta la rivoluzione dell’isola appena fatta la elezione del nuovo sovrano. Affine di farne l’attuazione, si diè mano alla riforma della costituzione, nella qual opera si perdè preziosissimo tempo, non compensalo da forti armamenti, perchè la politica di Mariano Stabile, in cui personificavasi il ministero, consisteva nel fidare interamente sull’Inghilterra anzichè nelle proprie risorse.

Formulato lo Statuto che doveva essere la legge fondamentale dello Stato, la Camera dei comuni e quella dei pari, divenuta, per le riforme, Camera dei Senatori non più ereditari ma a vita, vennero chiamate alla solenne elezione del nuovo sovrano di famiglia italiana, giusta la seconda parte del decreto del 15 aprile.

I due candidati che avevano maggiori probabilità