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possono averlo notato, di prontezza d’iniziativa e di fermezza di risoluzione, non possono non increscere ai suoi amici; ma giova sperare che sieno state passeggere mancanze, nelle quali talora avviene anche agli uomini i più energici di cadere.

Non possiamo chiudere questa notizia biografica senza parlare dei vari pregi che distinguono il Minghetti come oratore. La chiarezza dell’esposizione, l’eleganza della parola, l’elevazione delle idee lo fanno uno dei più eloquenti ed apprezzati dicitori del Parlamento italiano. La sua vasta istruzione, l’acutezza della sua mente che gli rende agevole afferrare e discutere qualsiasi più astrusa materia, rendono la di lui cooperazione molto preziosa, come quella che semplifica e rischiara ogni più complicata questione. I discorsi pronunziati dal Minghetti in materie economiche, finanziarie e giuridiche hanno sempre prodotto nella Camera e fuora del recinto parlamentare una profonda impressione, e sono rimasti e rimarranno quali modelli, nel loro genere, di eloquenza parlamentare.

La Camera gli ha dato una prova segnalata dell’alta stima che professa per lui eleggendolo a suo vice-presidente.





Niun italiano havvi che ignori quanto benemerita della patria sia la famiglia Tapparelli d’Azeglio. Colui del quale ci accingiamo a descrivere la vita è uno dei membri di quella i più notevoli, e cui a buon dritto deve maggior riconoscenza il paese.

Roberto d’Azeglio, figlio al marchese Cesare, è nato in Torino dalla marchesa Cristina Murazzo di Biansè, nel settembre del 1790.

Il padre, uffiziale nell’armata piemontese, emigrò, quando accadde l’invasione francese, dopo essere stato fatto prigioniero e aver temuto di perdere la vita sul patibolo sotto l’efferato governo del Robespierre, che nella sua rabbia di percuotere l’aristocrazia, non si