Pagina:Calani - Il Parlamento del Regno d'Italia, vol 2.pdf/200

Da Wikisource.

– 586 –

era salutare ch’ei la riempisse. S’egli non l’avesse fatto, e non l’avesse fatto al modo in cui il fece, chi sa se migliori giorni avrebbero ora potuto finalmente risplendere per l’Italia. Vi fu chi chiamò reazionaria l’amministrazione del d’Azeglio; ma costoro non tengono abbastanza conto dei tempi e delle circostanze, costoro non sanno vedere che quel tempo di rèpit era necessario per preparare la strada a quel conte Camillo di Cavour, che doveva tornare ad agitare d’una mano tanto possente quanto sagace la fiaccola del movimento rivoluzionario.

L’espugnazione di Genova e la firma del trattato con l’Austria furono le due ineluttabili necessità che servirono precipuamente a spargere l’aura dell’impopolarità sull’amministrazione del nostro protagonista. Queste ampiamente bastarono presso quegli uomini che non domandano che un pretesto per affannarsi a portare la zappa della maldicenza e della calunnia sulle più nobili reputazioni affine di demolirle, perchè essi tacciassero di reazionario e quasi di austriacante quell’uomo che aveva date tante e sì chiare prove della fede e della carità sua verso l’Italia.

La proposta di una legge sulla stampa atta a raffrenare gli eccessi cui ella si abbandonava, in ispecie dopo gli avvenimenti del 2 dicembre, contro il principe Luigi Napoleone, presidente della repubblica francese, fu anche motivo di malcontento e di rimbrotti contro l’Azeglio, il quale, presentendo che il momento in cui egli doveva cedere il limone dello Stato a mano più energica, se non più devota della sua, sì appressava, dopo aver per poco ricomposto un ministero che sapeva egli stesso non aver probabilità di durata, si ritrasse con dignità dal potere.

Ne piace estrarre dal discorso pronunziato dal d’Azeglio in Senato, quando si trattò d’approvare il progetto di legge relativo alle fortificazioni di Casale, quel brano col quale egli volle giustificare l’andamento della propria amministrazione, e sopratutto mondarla dalle tacce di reazione o di anti-patriotismo.

«Quando io venni al governo, così parlò l’Azeglio, il paese era occupato da stranieri soldati fino alla