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ardentemente facendosi sentire, il Durando rientrò in Piemonte, ove fu salutato colla più affettuosa premura dai suoi amici e parenti. Poco rimasto in Torino, si condusse a Mondovì, ove compose un libro ch’ebbe non poca importanza e che venne letto, in quei tempi, con moltissima avidità da coloro cui stava a cuore il risorgimento della patria; vogliam dire il suo volume intitolato la Nazionalità Italiana.

E qui ne giova aver di nuovo ricorso alle memorie del nostro protagonista per udire da lui qual fosse lo scopo pel quale egli lo aveva scritto e quali speranze e quali convincimenti glielo avessero dettato.

«Ritrattomi alla villa paterna di Mezzavia, presso Mondovì, in casa di mio fratello Giuseppe, percosso anch’egli dalle ire governative, posi mano al libro della Nazionalità Italiana. Già dissi come io mi rimanessi, nei tredici anni trascorsi, quasi estraneo alla vita intellettuale e sociale d’Italia. Era cosa temeraria accingermi a pubblicazioni politiche, non tanto dal lato delle difficoltà pressochè insuperabili per farsi legger da molti, ed anche da pochi, ma perchè mi difettavano la dottrina e lo stile, che tanto ajuta le cose mediocri e fa anche tollerare le cattive. Ad ogni modo, nel lungo vaneggiare dell’esiglio, io aveva la mente zeppa d’idee vaghe, informi, ma che pur sentiva giuste ed atte a fissare in un’opinione concorde le secolari discordie degl’Italiani.

«Nelle eterne marce e contromarce dall’Aragona in Castiglia, da Castiglia in Catalogna o a Valenza, io andava ruminando il gran problema d’Italia, e sovente mi addentrava in queste meditazioni così profondamente, che, benchè camminassi alla testa del mio reggimento, in paese dove lo scostarsene valeva esser preso e fucilato immediatamente dai faziosi, mi accadeva talvolta di avanzarmi solo e dimenticare il reggimento, e fuorviarmi in una specie di sonnambulismo politico. Di queste distrazioni ridevano molto mio fratello Giovanni, Cialdini, Fanti, Ribotti, Cucchiari, Fabrizi, Ardoino, e le attribuivano a mal capitati amori. Comunque sia, quando tornai in Torino, mi trovai con un capitale assai grosso di pensieri, di sistemi, di elucubrazioni politiche sulle condizioni italiane.