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promesso, e diedersi a tutt’uomo a riparare in quell’intervallo le breccie che nei loro bastioni avevan fatto i tiri di tremenda giustezza della poderosa nostra artiglieria; dimodochè il generale in capo, informato di quel mancamento di parola, ruppe da quell’istante ogni relazione colla piazza e dichiarò non voler più ricevere parlamentarî di sorta, ove loro incarico non fosse quello di trattare della reddizione della fortezza.

Ricominciato più terribile il nostro bombardamento, il dì 12 s’intavolarono i negoziati della resa, ch’erano sempre pendenti, quando, mantenendosi vivissimo il nostro fuoco, tutta la batteria della piazza, che dicevasi di Transilvania, saltò in aria con terribile scoppio onde ebbe a tremarne a grande distanza il suolo come per violento terremoto.

Ciò nonostante, per generosità di Cialdini, le condizioni stesse della resa, già in gran parte a quell’ora pattuite, non subirono veruna alterazione. Per queste l’indomani il generalissimo occupò il monte Orlando e tutte le fortificazioni e, partiti il Re e la Regina, tutta quanta la città.

Ognun si ricorda con quanta gioia Italia intera festeggiasse un tanto avvenimento e come benedisse al nome di Cialdini e a quelli dei generali Menabrea e Valfrè che molto pure contribuirono a conseguire un così grande successo.

Riproduciamo qui sotto l’ordine del giorno col quale il gcneralissimo applaudì le proprie truppe per la costanza e la bravura da esse dimostrate durante l’assedio:

«Soldati!

«Gaeta è caduta! Il vessillo italiano, e la vittrice croce di Savoja sventolano sulla torre d’Orlando. Quanto io presagiva il 15 dello scorso gennaio, voi compieste Il 15 del corrente mese. Chi comanda soldati quali voi siete può farsi sicuramente profeta di vittorie.

«Voi riduceste in novanta giorni una piazza celebre per sostenuti assedi ed accresciute difese, una piazza che sul principio del secolo seppe resistere per quasi sei mesi ai primi soldati d’Europa.