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questa non saprebbe esser valida ove il Chiavarina non l’avesse approvata. Di tale estesissima autorità noi crediamo che il Chiavarina usi e non abusi, e, se talfiata qualche giornalista dalla testa calda si è lagnato dell’eccessiva severità e rigorismo degli uscieri incaricati della sorveglianza delle tribune, si conviene generalmente, che se il conte di Chiavarina nell’esercizio della sua autorità è inflessibile, egli è d’altronde assai giusto, tutte le volte almeno che non si riesce ad ingannarlo.

Il Chiavarina non prende che di rarissimo la parola, ove tuttavia non si tratti di dare una qualche spiegazione relativa al regolamento della Camera, o di richiamare alla stretta osservanza di questo coloro tra i deputati cui il presidente tralasciasse di ammonire, quando avvenga di allontanarsene. Il conte Chiavarina è più che probabilmente questore in perpetuità della Camera elettiva.





Appartiene ad un’umile famiglia della cittadinanza romana; è uomo di grande onestà e di un patriotismo a tutta prova. Egli si trovava nella qualità di ragioniere presso una delle più cospicue casate di Roma, quella del principe Pallavicini fratello al Rospigliosi, quando, messosi innanzi coraggiosamente in quel gran partito che a Roma tien desto lo spirito nazionale, e mira a suscitarlo di giorno in giorno vieppiù nell’animo della popolazione, compromesso gravemente per le rivelazioni fatte durante il processo Venanzi, onde sfuggire alla cruda sorte riserbatagli dagli sgherri papalini, si sottrasse colla fuga all’intimatogli arresto, e si ritrasse a salvamento in Torino. Membro di quel comitato romano, che si è tanto adoperato nell’interesse della patria unità, è