Pagina:Calani - Il Parlamento del Regno d'Italia, vol 2.pdf/40

Da Wikisource.

– 426 –

nee avvertite dalla polizia fecero supporre nelle ore pomeridiane di jeri che una qualche novità sovrastasse. Potè sapersi che il governo di Livorno aveva espressamente e con tutta riservatezza prevenuto questo comando di piazza che il principe Luigi Bonaparte, fuggito l’anno scorso dal castello di Ham, trovandosi attualmente in Corsica, tentava uno sbarco clandestino sul littorale toscano per penetrare nel seno d’Italia e convertire l’ordine attuale di cose.

«Per l’importanza di sì rilevante affare il Comando suddetto fece rinforzare i posti militari della costa marittima, e questa forza carabiniera a mia diligenza e, direzione fece un servizio di vigilanza intorno ad una villetta del conte Bichi, posta in marina, dalla quale era già partito un numeroso complotto di persone che poche ore prima si erano colà radunate. Questa riunione si ritenne per sospetta, considerando che il locale ov’ebbe luogo apparteneva al prefato conte Bichi, dimorante attualmente in Parigi ed uno de’ più esaltati in politica.»

Tanto era radicato nel governo granducale il timore che il Bichi non cessava dal minarlo che vegliava perfino le mura ove il relegato del 1831 aveva abitato. Fu dunque ventura il sottrarsi coll’esilio agli artigli di quel governo implacabile.

Entrato nella capitalo delle grandi rivoluzioni, il Bichi si diede a frequentare il collegio di Francia, cercando modo d’interessare quei sapienti politici a favore della derelitta Italia ch’egli veramente sapeva essere stata offesa da’ bugiardi ministri del re Luigi Filippo; ma visto, e pur troppo rivisto che nulla poteva Italia sperare dalla Francia d’allora, il Bichi si ritirò in una campagna, ove per qualche tempo non volle più col mondo politico altra conversazione che quella dei libri e dei giornali.

Nel 1848 il conte non volle affrettarsi a rientrare in Italia, e perchè col veder suo pugnavano i predicali frazionamenti, e sovratutto perchè non gli fu possibile il credere che un principe d’animo fiacco e tenacemente austriaco potesse mai trovar la forza di restar fedele al principio della rigenerazione italiana