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sta circostanza, come in tante altre tutto il chiasso che si è fatto, era irragionevole a più d’un titolo.

Vogliamo ammettere benissimo che il sistema praticato per conseguire la presentazione o il reperimento dei renitenti fosse poco normale e fino un certo punto arbitrario; ma ove si rifletta che era necessario agire col più estremo rigore, e impiegare mezzi efficacissimi onde rimediare al male il più grave che potesse affliggere una provincia d’Italia, con danno di tutta Italia; ove si pensi che mediante appunto l’applicazione severa, ma d’altronde molto riguardosa di quel sistema, si è perfettamente conseguito l’intento, in verità, non possiamo fare un carico al generale Govone di aver agito come ha agito.

In quanto poi all’espressione sfuggita a lui, soldato, in un momento d’eccitazione per vedersi ingiustamente accusato, non ammettiamo che dagli uomini seri si possa fargliene neppure la quinta parte dell’addebito che gli se n’è fatto. Noi abbiamo riconosciuto in ciò una delle solite manovre di partito, la quale è riuscita a mettere una nobile ma impressionabilissima popolazione qual si è la siciliana in urto con uno d.ei più abili, valorosi e patriottici nostri generali.





Siciliano, il suo patriottismo lo ha compromesso agli occhi della sospettosa polizia borbonica, tanto che ha dovuto abbandonare la patria terra e rifugiarsi in Toscana e in Piemonte.

Dopo gli avvenimenti faustissimi e meravigliosi mediante i quali la Sicilia fu liberata dall’odioso giogo borbonico, il conte Amari, sulla cui saviezza si faceva un giustissimo calcolo, innalzato alla dignità di senatore fu inviato prefetto a Modena ove amministrò con molta abilità e molto senno.

Più tardi, dopo essere rimasto alcun tempo in ritiro