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rite che i veri soldati chiamano a ragione felici, così ei si credette divenuto a un tratto il più gran politico della terra, e datosi tutto al Guerrazzi fece prima parte del costui ministero, quindi, fuggito il granduca a Gaeta, non ebbe ritegno dall’erigersi insieme al Guerrazzi stesso e al Mazzoni a triumviro.

Partito con una missione per Parigi, vi si trattenne quando seppe dell’ingresso degli Austriaci in Toscana e non rientrò più in patria che dopo il 1859.

A Parigi gli si dette troppo più importanza ch’ei non ne avesse, e lo si volle un letterato di una levatura alla quale, per dirla schietta, l’ottimo Montanelli non si era mai innalzato; e non crediamo che la Camma da lui scritta per la Ristori abbia giustificato l’alto concetto che del genio di Montanelli i critici francesi sembravano essersi formato.

Nel 1859 il Montanelli, venuto in Toscana, tentò positivamente e manifestamente in favore del principe Napoleone, quanto si assicura abbia tentato il Cantù a pro di Massimiliano d’Austria; volle cioè adoperarsi a mettergli in capo una corona di re d’Etruria, con quanto vantaggio dell’unità d’Italia ognuno sel pensi.

E quando si trattò in seno alla Camera toscana di decretare il plebiscito per l’annessione, il Montanelli, non sappiamo invero con qual coraggio, vi si oppose quanto seppe e potè.

Fu eletto più tardi deputato al Parlamento nazionale, ma intervenne appena a qualche seduta e non gli accadde mai di prendere la parola.

La sua morte, avvenuta quasi improvvisamente, ci ha indotti e c’induce a moderare le nostri appreziazioni intorno alla sua vita politica. — Solo non possiamo trattenerci dall’approvare la decisione del consiglio comunale di Pisa, che rigettò la proposta di erigere un monumento a Montanelli nel famoso Camposanto, e ciò malgrado la pressione che dietro l’improvvisa mozione fatta dal Mordini alla Camera, questa parve volere esercitare sul prefato consiglio, il quale sostenne in altra adunanza la primiera sua deliberazione, appoggiandola su considerandi inattaccabili.