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sissimo colla età in cui ribolle il sangue e in cui la fantasia suole andare attorno montata a bisdosso d’un cavallo sbrigliato, bisogna anche dire che quindici o venti anni fa l’Italia si trovava in tale situazione che ad iscuoterla, ad intraprenderne l’efficace risveglio, era d’uopo di mezzi vigorosissimi.

Gl’Italiani, che come il Guerrieri, sognavano una patria indipendente e possibilmente unita, ma che nella oro saviezza sentivano quanto poco realizzabile fosse quel sono, credettero doversi fare innanzi a ogni patto, ea accettare a conseguire in qualche parte il santissimo intento, anche l’aiuto di gente che potevano iscorgere come fosse mossa da intendimenti che non avevano nessuna analogia coi loro propri. Questo, ci sembra, dovrebbe bastare a spiegare ampiamente una condotta che certi uni si industriano a dipingere con colori scurissimi e che tacciano di volubilità e peggio.

Il Guerrieri ebbe parte al gran moto milanese nel 1848 e fu membro di quel Governo provvisorio; al ritorno degli Austriaci dovette esulare.

Nel 1859 fu eletto deputato e dal momento in cui è entrato alla Camera è stato uno dei più operosi ed utili suoi membri.

Il ministero Minghetti-Peruzzi, ch’egli ha sempre sostenuto del suo valido appoggio, ha voluto profittare dei suoi lumi col metterlo a capo dell’ufficio della Stampa, incarico da esso accettato a condizione che non venisse retribuito, e mediante il quale ha reso importanti servigi.

Il Guerrieri non parla spesso, ma quando parla, parla a proposito e bene.

Non saremo il meno del mondo esagerati affermando che il Guerrieri è uno dei più insigni letterati che possieda l’Italia al di d’oggi. Per non dir d’altro, la sua traduzione del Fausto di Goethe è un vero capo d’opera e non saprebbe mai abbastanza leggersi ed ammirarsi.