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della Camera subalpina, lo vedete presidente della prima Camera del regno d’Italia. E quando vi fate ad interrogare gli atti dei due principi ch’egli ha servito come ministro, apprendete che re Carlo Alberto dal suo refugio d’Oporto lo raccomandava come uno degli uomini a cui meglio la monarchia costituzionale potesse affidarsi; apprendete che re Vittorio Emanuele II onora di quella confidente benevolenza che ben si può ambire da molti, ma è singolar pregio di pochi il meritare. Domandate infine ai suoi avversarî medesimi un giudizio spassionato intorno ad esso, e quando alla verità non faccia veto lo spirito di parte, li udite riconoscere in lui una rara potenza di parola, una mente acuta, un carattere altrettanto saldo quanto integro.
È pur d’uopo adunque dire che in quest’uomo vi abbia una tempra non comune, se potè attraversare tante accuse, tante censure, tanta difficoltà di casi, senza cessare perciò di essere noverato fra le individualità politiche più eminenti d’Italia.
Facciamoci a studiarlo nelle sue vicende e nei suoi atti.
Prima dello Statuto, Urbano Rattazzi era nulla più che un avvocato. Nel campo però della giurisprudenza e nell’arringo forense avevasi già acquistato tal rinomanza, che presso il Senato di Casale, dove teneva la sua dimora, era riguardato facilmente, il primo fra gli altri insigni, quali erano, a cagion d’esempio, Dionigi Pinelli e Carlo Cadorna. Tutto dedito alla sua professione, ch’esercitava con rara nobiltà di carattere, non consta che pigliasse alcuna parte diretta a quel movimento politico che andava preparando la pacifica rivoluzione del 1848. Solo si rammenta essere stato in sua casa che nell’autunno del 1847, all’epoca del famoso congresso agrario, tennero riunione i compilatori dell’indirizzo, col quale volevasi chiedere a re Carlo Alberto l’istituzione della guardia civica.
Aggiungesi ancora che le sue amicizie personali erano tutte con uomini del partito riformatore.
La prima occasione che ebbe a portarlo dal campo forense a quello politico, fu il voto d’Alessandria che