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discipline che sotto un governo anti-liberale e anti-civile quale il borbonico era concesso d’apprendere a giovin bennato.

Il Compagna contava appena venti anni d’età che il di lui carattere, insofferente delle tristi condizioni in cui gemeva il proprio paese, lo induceva a disprezzare i frivoli passatempi ricercati de’ suoi coetanei; in quella vece ei leggeva, meditava molto e visitava le carceri politiche, allora riboccanti delle persone le più meritevoli del napoletano, e preparava e afforzava l’animo ai grandi eventi da lui presentiti e mediante i quali le sorti, non che di Napoli, d’Italia tutta, dovevano sorgere ad una altezza cui mai non eran potute pervenire.

Non isfuggirono alle acute orecchie della polizia borbonica i sentiti detti e le pietose opere, onde migliorare la triste condizione di quelle illustre vittime, proposte dal Compagna; ma egli era sì giovine e la sua famiglia d’altronde occupa nelle Calabrie un posto tanto importante, che per allora sembrò non se ne facesse verun conto.

Nonpertanto nel 1850 ebbe l’onore di venir classificato nel numero degli attendibili, sebbene gli riuscisse durante un qualche altro tempo deludere gli arghi borbonici col mostrarsi onninamente occupato nell’ammegliare la coltivazione dei suoi vasti poderi.

Nei primi giorni del 1860 scoppiò finalmente la procella che da sì lunga pezza si addensava sul suo capo. Arrestato e tradotto in carcere, dopo aver subita la più minuziosa visita domiciliare, nella quale il celebre direttore di polizia Ajossa sperava trovar elementi di fatto onde farlo condannare, dopo alcuni mesi di prigionia, dietro giudizio della gran corte criminale, era rimandato assolto.

Ma l’Ajossa per misura politica gl’intimò domicilio forzoso, dapprima in Amalfi, quindi nella propria città nativa.

Al momento della promulgazione dello statuto per opera di Francesco II, il Compagna fu di quelli che consigliarono vivamente alle popolazioni di non accettarlo, o di tenerlo in niun conto, solo volgendo la