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gua e non riusciva a sottrarsi ad una che per rimaner vittima dell’altra. Lo si accusava di essere in corrispondenza col De-Dominicis emigrato in Egitto e col De -Branchi refugiato nelle città anseatiche perchè si sapeva ch’entrambi erano suoi amici, e ad ogni istante gli si facevano visite domiciliarie minutissime, insopportabilissime.

Ma ciò non bastava, il Catucci ispirava un vero terrore agli sgherri di re Ferdinando, sui quali la falsa accusa ch’egli avesse risoluto di attentare alla vita del Borbone, accusa che condusse l’ispettore di Molo di Gaeta a farlo arrestare, aveva fatto gran senso.

Si crederebbe che costoro costringevano il Catucci a recarsi in questura (allora dicevasi prefettura) e ve lo tenevano consegnato nelle occasioni solenni nelle quali re Ferdinando degnava mostrarsi al suo buon popolo di Napoli.

Nè questo basta. I vescovi pure s’ingegnarono di tormentarlo, ed ecco in qual modo. Una nuova accusa si rovesciò un giorno sul capo dell’infelice quanto, bisogna pur riconoscerlo, incrollabile Catucci, e quest’accusa consisteva nell’asserire ch’egli insegnava il diritto in ispregio del divieto. Un ufficio di polizia formulava l’accusa nei seguenti termini: il signor avvocato Catucci sotto il pravo disegno d’insegnare il diritto e di avere al suo studio dei patrocinatori, asserisce di fare l’avvocato; glielo avverto perchè prenda conto ecc.

Fu in quell’occasione che al Catucci convenne comparire dinanzi monsignore Apuzzo, il quale ebbe ad apostrofarlo nei seguenti termini:

«Il liberale non è cristiano, e noi non possiamo permettere ch’ella senza licenza insegni ai giovani delle apparenti dottrine legali, mediante le quali alla perfine vengono educati a finire in galera»

Nel momento stesso in cui Ferdinando di Borbone era attaccato di un crudelissimo morbo che lo condusse fra i tormenti più strazianti che lo numerose sue vittime potessero mai augurargli, alla tomba, quando Francesco II saliva su quel trono macchiato